Psicologia Marziale. Mental training e Muay Thai.

L’energia mentale richiesta negli sport da combattimento, superiore ad altre discipline sportive, spesso non è accompagnata da un’adeguata preparazione mentale.
Lo scontro diretto con l’avversario, la rapidità delle azioni, i tempi ristretti di recupero e la concreta possibilità di dover combattere magari in situazioni di svantaggio fisico, a causa di un infortunio durante la gara, richiedono una mente solida e allenata.
In questo articolo vogliamo raccontarvi il percorso di allenamento mentale che Mathias porta avanti da circa 2 anni, per farvi capire cosa può voler dire per un atleta intraprendere un percorso di psicologia dello sport.
La collaborazione e la disponibilità a mettersi in discussione sono due elementi fondamentali per poter iniziare, ma ogni atleta professionista, come Mathias, dispone di questa qualità, pertanto fu molto semplice iniziare un lavoro insieme.
In un percorso di psicologia sportiva con atleti professionisti, a causa dei loro spostamenti o come in questo caso, dettato dal fatto di vivere in due continenti differenti, obbliga lo psicologo e l’atleta a strutturare il lavoro attraverso strumenti multimediali come skype, video e aule virtuali, riservando agli incontri di persona le fasi di training che richiedono l’utilizzo di apparecchiature specifiche.
Un aspetto importante per ogni atleta è sviluppare la capacità di gestire l’ansia da prestazione pre-gara e con Mathias abbiamo iniziato proprio da lì. Esistono delle “trappole mentali” che gli atleti compiono prima di una gara importante e che possono far insorgere stati di ansia negativa. Un atleta mentalmente allenato conosce almeno tre o quattro tecniche di gestione dell’ansia da inserire nel suo “borsone” e da tirare fuori al momento opportuno, durante il riscaldamento pre-match e nei minuti precedenti la salita sul ring. A questo scopo sono molto utili tecniche di rilassamento, tecniche di respirazione addominale, tecniche di controllo dei pensieri, tecniche distrattive e tecniche di rilassamento muscolare.
Ma sul concetto di rilassamento spesso si cade in errore. Non possiamo pensare che un atleta per performare bene debba essere rilassato come quando è a casa, seduto comodamente in poltrona. E’ vero che così non si sperimenta l’ansia però lo stato di attivazione non sarebbe ottimale per sostenere un incontro. Il secondo step è quindi lavorare sul concetto di “arousal” o di attivazione psicofisiologica insegnando all’atleta come funziona il nostro corpo e la nostra mente durante una prestazione sportiva. Questa parte del lavoro è molto delicata perchè ogni atleta ha la sua zona di massima prestazione mentale, che si trova esattamente a metà strada tra l’ansia e l’eccessivo rilassamento. La difficoltà è collocarsi in questa zona senza scivolare da una parte o dall’altra perchè in quei casi la performance sarà sicuramente inferiore alle potenzialità. Su questo aspetto è necessario lavorare sulla fisiologia umana con apposite tecniche (controllo del battito cardiaco, apparecchiature di biofeedback, nuovamente respirazione e controllo della muscolatura) in associazione a tecniche di imagery, spesso anche abbinate alla musica che consentano all’atleta di ricreare la giusta condizione mentale per salire sul ring.
Una volta giunti sul ring c’è un fattore determinante per ogni atleta. Ho sentito spesso dire a Mathias, come ad altri atleti, “sentivo, già prima di iniziare, che questo incontro l’avrei portato a casa” oppure “ho capito subito, appena sono salito sul ring che non c’era nulla da fare...”.
Quando un atleta inizia a dirsi queste cose sta già determinando buona parte della sua riuscita o della sua sconfitta. Queste frasi sono convinzioni che condizionano il senso di auto-efficacia personale e di fiducia nelle proprie capacità. E gli studi scientifici ci dicono che le performance fisiche sono direttamente proporzionali al livello di auto-efficacia dell’atleta. In altre parole un atleta che sale sul ring con un pensiero del tipo: “non c’è nulla da fare, lui è più forte” riuscirà a mettere in campo la metà delle sue potenzialità.
Con Mathias abbiamo dunque lavorare per allenarlo a riconoscere queste convinzioni prima di ogni incontro e modificarle nel caso fossero state negative. E’ ovvio che un atleta con una grande esperienza alle spalle sarà agevolato nel costruire un dialogo interno più efficace però non è così scontato. Ci sono atleti che, seppure abbiano vinto titoli importanti, continuano a non riconoscere a pieno i loro punti di forza e non li portano sul ring, credendoci fino in fondo. Al contrario ci sono atleti tecnicamente meno esperti che anche di fronte ad un avversario tecnicamente più forte o esperto sanno tirare fuori una fiducia e una convinzione tale da riuscire a ribaltare le sorti del match. E ricordiamoci sempre che lo sport ci insegna che non sempre vince chi è più forte sulla carta... ma sicuramente vince quello che è più forte sul ring.
Su questo aspetto mentale si lavora con dei de-briefing di analisi dell’allenamento e dei combattimenti in cui l’atleta è guidato nel ricercare gli aspetti positivi delle sue performance, anche grazie all’ausilio degli allenatori, e dopo alcune settimane di monitoraggio si inizia a comporre un “puzzle” visivo con tutti questi aspetti legati magari a delle foto di incontri andati molto bene. Questo “quadro fotografico” viene tenuto dall’atleta in un luogo che frequenta abitualmente e viene aggiornato settimanalmente in modo da rendere la mente sempre più consapevole delle proprie capacità.
A questo punto possiamo dare il via all’incontro... E anche qua ci sono degli aspetti critici per la psicologia di un atleta. Un aspetto che spesso non viene tenuto in debita considerazione è il “condizionamento dal team di supporto”. E’ indubbio che l’allenatore abbia un ruolo fondamentale per ogni atleta e la presenza all’angolo, il suo supporto durante il combattimento è fondamentale. Ma ci possono essere due trappole: l’atleta che diventa troppo “dipendente” e non riesce a performare bene se non in presenza del suo staff oppure un allenatore che non è consapevole dell’impatto (positivo o negativo) che il suo atteggiamento all’angolo trasmette all’atleta, come ad esempio eccessive pressioni o comunicazioni non efficaci e confusive.
Un altro aspetto fondamentale quando parliamo di allenamento mentale è la gestione dell’imprevisto. Sul ring può accadere di tutto e gli eventi inaspettati (un colpo, una ferita, una reazione dell’avversario) possono improvvisamente “bloccarci”.
Per definizione l’imprevisto è imprevedibile ma un atleta ben allenato mentalmente ha lavorato sul problem solving immaginando possibili soluzioni a problemi che ancora non si sono verificati.
Tecnicamente si parte dunque con delle sessioni di imagery o visualizzazione in cui l’atleta lavora sul ricreare mentalmente tutti gli scenari possibili (soprattutto quelli negativi) e immagina se stesso reagire a quelle situazioni sviluppando quindi strategie di coping.
E’ importante che l’atleta conosca un pò il funzionamento del nostro cervello che, in quanto emulatore di realtà, ci permette di vivere in immaginazione le stesse sensazioni che potremmo provare dal vivo. Facciamo un esempio banale, pensate ad una serata piacevole da passare con amici o con il vostro partner e subito inizierete a provare delle sensazioni psicofisiche simili a quelle che sperimenterete durante la serata. Questo processo permette alla nostra mente di allenarsi a vivere determinate sensazioni e quindi ad essere maggiormente in grado di affrontare quando si presenteranno realmente. Quindi tornando sul ring... aver immaginato di risolvere una situazione critica in cui l’avversario ci colpisce e ci mette in svantaggio, aver immaginato come affrontare quella situazione in quell’evenienza, allena la nostra mente esattamente come se quell’esperienza l’avessimo vissuta sul serio.
Questo è solo un assaggio di quanto la psicologia dello sport possa fare per un atleta o per un allenatore che pratichino sport da combattimento, indipendentemente dall’età, dal livello agonistico raggiunto e dalle abilità tecniche.
Si pensa, sbagliando, che a livello dilettantistico o semi-professionistico questo non serva ma se sono riuscita a far cogliere quanto scritto sopra avrete certamente capito che è una credenza errata. Oppure si pensa che serva solo per adulti e non per i ragazzi: anche questo è assolutamente errato perchè una mente forte la si coltiva nel tempo. Ovvio che con i bambini/ragazzi le tecniche cambiano ma i principi dell’allenamento rimangono identici.
Insomma... la psicologia sportiva è un’area vasta e interessante e magari questo primo assaggio vi ha fatto venire la curiosità di approfondire.

D.ssa Gladys BOUNOUS
Psicologa dello Sport
www.bskilled.it

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