Psicologia Sportiva. Le Sconfitte Servono a Riflettere.
La percezione soggettiva della sconfitta dipende innanzitutto da due
aspetti sui quali si lavora molto con un allenamento psicologico, e cioè la formulazione delgi obiettivi e la
motivazione.
Per quanto riguarda gli obiettivi, l’atleta dovrebbe essere in grado di
formulare una pianificazione degli
obiettivi a breve, medio e lungo termine, obiettivi che siano difficili ma
raggiungibili, sfidanti, si dovrebbero poter visualizzare, immaginare nel
momento in cui si raggiungono.
Può capitare che ci siano delle difficoltà nel raggiungere questi
obiettivi e qualche volta l’atleta può considerare il non raggiungimento di un
obiettivo prefissato come una sconfitta personale. Ma nello sport le sconfitte, servono a riflettere, a fare
il punto della situazione, osservare, valutare, capire cosa c’è stato di
utile, di importante nella prestazione eseguita e cosa, invece, si può
migliorare. Quindi, tutto sommato, la sconfitta potrebbe servire per fare una
valutazione delle proprie risorse, punti di forza e, al contempo, delle
criticità.
L’altro aspetto di cui accennavo all’inizio, importante in caso di
prestazione percepita come sconfitta è la motivazione, se un atleta è
fortemente motivato nel voler praticare il suo sport che comporta lavori,
sacrifici, rinunce, affronterà le sconfitte a testa alta, complimentandosi con
se stesso per quello di buono che è riuscito a fare fino a quel momento, complimentandosi con l’avversario per la
bravura dimostrata in quell’occasione, anche perché prima o poi lo trovi
uno più forte o che comunque riesce a batterti; in questo caso un aspetto importante del vero campione è la
resilienza, il cui significato, derivante dalla metallurgia, è: “mi piego ma non mi spezzo”, che sta a
significare che il vero campione esce fuori dalle sconfitte con più voglia
riscattarsi, di far meglio, di migliorare gli aspetti, le aree in cui ha
mostrato carenza; il concetto di resilienza è presente anche nelle persone che
subiscono traumi, quelli che possiedono questa caratteristica non vanno
incontro a stress acuti, o disturbi post traumatici di stress, ma ne escono più
forti, con un valore aggiunto.
Lo sportivo non è solo, è affiancato
dall’allenatore che dovrebbe conoscere le sue potenzialità, i suoi punti di
forza e di debolezza, dovrebbe costruire con l’atleta un progetto di obiettivi raggiungibili, stimolanti, da rivalutare
all’occasione, dare feedback adeguati, spiegare le sedute di allenamento,
l’importanza del gesto sportivo, il significato, raccontare aneddoti, far parte
della storia sportiva dell’atleta, condividere
momenti di gioia e sofferenza, di vincite e di sconfitte, essere disposto
ad ammettere di aver fatto un errore, di aver preteso, di aver sottovalutato,
di non aver considerato.
Quando si raggiunge una notorietà molto elevata, eccessiva, si rischia di
attrarre l’interesse non solo della vita sportiva dell’atleta ma dell’intera
vita privata, e questo se all’inizio può essere piacevole per il piacere di
essere riconosciuti, contattati, alla lunga può produrre stress, nervosismo,
deconcentrazione, fino alla distrazione disfunzionale dall’attività sportiva
praticata. L’atleta è tentato a rilassarsi troppo, a non investire
proficuamente nello sport, e questo va a discapito dellla performance che
richiede un investimento notevole. In questi casi l’atleta campione è tentato a
distrarsi perché cambia la motivazione, conosce il piacere della notorietà
senza faticare e ciò può portare a una reale fine carriera.
(1)
William Hart, LA MEDITAZIONE VIPASSANA come insegnata da
S.N. Goenka Un’arte di vivere, Edizioni ARTESTAMPA, 2011, Modena.
Psicologo Psicoterapeuta
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